Magical Girl è un film bellissimo ma che mette a dura prova lo spettatore.
E non solo per il dolore che racconta, non solo per un finale straziante, ma anche per la difficoltà che si ha a capirne il senso, a rispondere ai dubbi che ti pone.
Quasi due film che si uniscono tra loro, uno drammatico e dolorosissimo, l’altro misterioso e parimenti doloroso.
Tra bimbe senza un futuro e donne dal tremendo passato un grande titolo impossibile da perdere.
Presenti spoiler, giganteschi dopo immagine bambina
Non è per niente facile parlare di un film come Magical Girl.
Perchè ci troviamo davanti ad uno di quei film che più cose mostrano, anche perfettamente lineari, e più spiegazioni danno più, al tempo stesso, pongono domande.
E le domande che pone non riguardano solo fatti o personaggi che lo vivono ma anche, e soprattutto, capire il senso di quello che vediamo, cercar di tirar fuori l’anima del film.
Poche volte come in questo caso sembra di ritrovarci con due film completamente differenti – uno tremendamente drammatico e doloroso, l’altro misterioso ed insidioso- che si uniscono tra loro con non si sa che cosa.
Forse è lo stesso dolore a legarli, forse il Caso che, inutile negarlo, la fa abbastanza da padrone per larga parte del film.
Quel caso che somiglia tanto al destino.
E questo caso, questo destino, ha la consistenza e la puzza del vomito, quello che Barbara sputa giù addosso a Luis mentre quest’ultimo sta cercando di gettare una disperazione a forma di sasso addosso a una vetrina.
I due film si incontrano, i due personaggi si incontrano, anche se poi, ed è qui uno dei portenti di sceneggiatura, entrambi porteranno avanti autonomamente il proprio “film”, nessuno dei due saprà niente delle vicende dell’altro.
Ma quelle due vite sono purtroppo ormai indissolubilmente legate.
In verità le loro vite si erano già odorate in precedenza quando Barbara ascolta alla radio il messaggio che Alicia, la figlia di Luis, aveva scritto per il padre.
Poco prima, in una delle tante scene strazianti di Magical Girl, lei aveva provato a farglielo ascoltare
“Aspetta Papà, un secondo, aspetta”
ma quell’attimo di gioia e commozione non c’era stato, sostituito dallo sbattere ignaro di una porta.
Più volte il film giocherà su questi incroci, alcuni manifesti (vedi quando i personaggi ascoltano La Nina de Fuego), altri più impercettibili e misteriosi come, ad esempio, quando Luis trova il pezzo del puzzle mancante del professore.
Scena minuscola, quasi invisibile, ma che ci lascia mille interrogativi e letture.
Ad esempio quel pezzo lo trova nello stesso punto dove pochi giorni dopo lo colpirà il vomito, ovvero sotto casa di Barbara.
Ma perchè è lì?
Viene da pensare, ma questo è un film tutto mio, che quel pezzo la ragazza l’avesse preso al professore. E qui le metafore si sprecano. Perchè quel professore è completamente succubo di lei, finì in carcere per colpa sua (rapporto morboso, si pensa alla pedofilia ma poi, nel finale, siamo quasi sicuri che fosse lei il diavolo della situazione). E questo puzzle a cui manca adesso solo un pezzo potrebbe significare per il professore l’essere stato lì, vicinissimo a salvarsi, a guarire, a un solo pezzo dalla tranquillità e dalla salvezza e invece, per colpa di lei, non poter uscire dall’incubo, ritrovarsi sotto il suo potere (lo distrugge anche il puzzle).
Ma di cosa parla Magical Girl?
E’ un cancer movie molto drammatico che, come dicevamo, si unisce ad una storia misteriosa, morbosa, lynchiana che riguarda invece lei, Barbara.
Indubbio che Barbara (interpretata dalla splendida attrice di Contratiempo) è il personaggio cardine del film, quello che lo eleva e lo distanzia da film potenzialmente simili sull’argomento.
Chi è questa ragazza?
Una caratterizzazione perfetta ci regala un personaggio ambiguo come pochi, con il quale empatizzare più volte ma, anche, averne profondamente paura. La scena del prologo (bellissima e legata circolarmente al finale in un modo sublime, da godimento cinefilo), quella quasi horror del neonato tenuto in braccio, quel suo passato pieno di cicatrici che il suo corpo ricorda, lo stesso titolo di un capitolo del film (diavolo), sono tanti gli elementi che ci raccontano di un personaggio maledetto, cattivo, distruttore.
Ma è impossibile però non vedere la sua sofferenza, i suoi problemi mentali, il suo essere manipolata, il suo accettare sofferenze indicibili a costo di salvare un matrimonio.
Mi è piaciuto tantissimo come il regista non abbia mai svelato cosa Barbara fosse costretta a fare in quella villa. E il non averci detto nulla del suo passato, nè quello in questo girone demoniaco (le cicatrici parlano) nè quello riguardante il suo rapporto col professore (lontanamente ricorda il rapporto tra l’uomo e la bimba di Lasciami Entrare).
E quella porta maledetta chissà cosa nascondeva (inquietante quel foglio bianco, l’impossibilità di fermarsi e rifiutare), chissà cosa c’era dentro, scelta molto simile a quella che vedemmo nel bellissimo Darling.
Ma del resto lo stesso Luis è personaggio al tempo stesso profondamente tragico ed enormemente negativo (chè anche il gesto più bello del mondo non giustifica quello che fa).
Davvero, lo spettatore si ritrova in questo film di cui fatica a trovare il baricentro, in cui si innescano anche molti sottotesti, sia metaforici (2 + 2 fa 4, a ricordarci che l’unica verità non confutabile è questa, le altre sono tutte interpretabili) che sociali (i continui riferimenti alla Spagna, dalla situazione culturale alle corride viste come metafora di un popolo, dalla costituzione ormai dimenticata alla crisi finanziaria contrapposta ad un mondo ricco e sprezzante).
Alla fine i “due film” si incontrano per la seconda volta (dopo la notte di sesso tra Barbara e Luis) e ci portano a un quarto d’ora finale nerissimo, spietato e straziante.
E, anche qui, il regista gioca con lo spettatore attraverso quel professore che prima voleva farsi uccidere se quell’uomo aveva violentato Barbara, poi preferisce ucciderlo quando scopre che invece è lei ad averlo scelto, come un raptus di gelosia.
Impressionante, strano, ambiguo.
Eh, però mi conoscete, in questo film è facile capire le scene che più mi hanno ammazzato.
E sono quelle con la splendida Alicia.
Quel suo timido cercare nella scatola e dietro il divano uno scettro che non c’è, quel suo sempre timido chiedere al padre di aspettare un secondo sperando di fargli sentire il suo amore alla radio.
E quei suoi tre desideri.
Diventare qualcos’altro.
Avere il vestitino della sua eroina giapponese.
Compiere 13 anni.
Un colpo di pistola e due dei tre desideri se ne vanno.
Alicia non compirà 13 anni, Alicia non godrà nemmeno un attimo della gioia di quel vestitino e di quello scettro (la musica che fa partire pensando che fosse il padre ti uccide).
Ma, forse, quello sparo le farà almeno esaudire il primo desiderio.
Alicia diventerà qualcos’altro, o almeno questo è quello che speriamo tutti.
E scomparirà da questo mondo di dolore, scomparirà come un cellulare che, magicamente, non sta più nella mano