La historia se escribe de noche

La storia si scrive di notte

REGIA
Alejandro Alonso

SCENEGGIATURA
Alejandro Alonso

FOTOGRAFIA
Alejandro Alonso, Lázaro Lemus

MUSICA
Rafael Ramírez

PRODUZIONE
Daniela Muñoz, Boris Prieto, Alejandro Alonso

CON
Teresita Estrella y Alejandro Alonso

ANNO
2024

NAZIONALITÀ
Cuba, Francia

DURATA
20 min.

PREMI

  • Curta Cinema - Festival Internazionale di Cortometraggi di Río de Janeiro, Brasile - Mostra Competitiva Internazionale (2024)
  • Festival Internazionale del Cinema di Cartagena delle Indie, Colombia - Competencia Iberoamericana (2024)
  • Go Short, Netherlands - Program Current issues (2024)
  • International Film Festival of Rotterdam, Netherlands - Tiger Short Competition (2024)

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La historia se escribe de noche

La storia si scrive di notte

Un vasto blackout ha avvolto Cuba nell’oscurità. Per le strade, gli abitanti cercano di sfuggire al buio, mentre il fuoco delle fiaccole sembra preannunciare la fine di un’epoca. La notte secondo
Alejandro Alonso, in concorso all’ultimo Festival di Rotterdam.

Cortos //

Le sue immagini sono vestigia di “un mondo che delira nell’oscurità”. “La storia si scrive di notte” annoda registri di paesaggi urbani, rurali, costieri, quasi sempre paesaggi periferici, comuni e insoliti allo stesso tempo, che, grazie all’immaginazione e all’intelligenza del regista, riescono ad allegorizzare “la lunga ombra” che si stende su di noi. Il film scolpisce in forma audiovisiva quel “stato di eccezione” storico descritto da Walter Benjamin come condizione e sorte degli oppressi. Alonso ha trovato questa volta nella notte, e nei “blackout” (i tagli di corrente, sempre più estesi, a cui sono sottoposti i cubani), la materia significante per il suo scopo… Come di consueto, questo autore consegna, con “La storia si scrive di notte”, un’opera di meticolosa oreficeria cinematografica: si fondono risonanze, echi industriali, naturali, apocalittici che alimentano lo spirito medievale di immagini dove la luce è poco più di un ricordo.

Conosciuta l’inventiva artistica di Alonso, non sorprende il successo di questo film nel panorama internazionale dei festival. Prodotto da Estudio ST, La Concretera Producciones e Vega Alta Films, “La storia si scrive di notte” ha avuto la sua prima mondiale al Festival di Cinema di Rotterdam, e si avvicina già la sua prima latinoamericana al Festival di Cinema di Cartagena de Indias, in Colombia, la cui 63a edizione si terrà dal 16 al 21 aprile. Su Instagram, Estudio ST ha commentato che il film parteciperà alla Competizione Iberoamericana di Cortometraggi dell’evento colombiano, dove vengono presentate “storie sull’esodo e la resistenza” e si riuniscono “cineasti contemporanei che giocano con le possibilità formali del cinema”.

Certo, se due gesti convergono nell’alchimia cinematografica di Alejandro Alonso, sono l’esplorazione (di taglio avanguardista) del repertorio espressivo audiovisivo, della sua autosufficienza estetica, e l’estrazione (dalla realtà cubana) di frammenti di un paesaggio sociale di resistenza. Dalla singolarità autoriale risultante emana la stirpe unica del suo lavoro. Pur partecipando della convenzione “documentaristica”, i suoi film, in realtà, sono opere d’arte che operano con mezzi audiovisivi, ma risultano piuttosto dipinti in movimento, sinfonie di immagini, poesie visive… L’esperienza cinematografica proposta da Alonso è sempre intrisa di misteri, sfide, rivelazioni…

Alla visione di “La storia si scrive di notte”, come accade con i suoi precedenti film, emerge un creatore capace di evadere le tentazioni del realismo in una Cuba la cui precaria contingenza invita a testimoniare ogni minuto della sua quotidianità. Cosa fa il regista de “Il progetto”, “Home” e “Abisal” in questa nuova opera? Come il pittore Pedro Pablo Oliva, che ha trasformato il motivo dei “blackout” in metafora del Periodo Speciale, Alonso prende questi tagli di corrente elettrica che affliggono le notti dei cubani e li elabora artisticamente, plasmando la loro materialità simbolica fino a imprimerci la violenza storica che piega questi tempi, fino a trasformarli in chiave esplicativa della sensibilità insulare, sempre più abbracciata alla fine di un’epoca, agli abissi della sua Storia. Lo stesso Alonso ha commentato in un’intervista, condotta da Dean Luis Reyes, di dovere molto a “Il grande blackout” di Oliva. Lì dice: “Sono passati trent’anni da quando è stato dipinto e il paese sembra non aver fatto un passo avanti, condannato alla stessa oscurità e tormentato dagli stessi demoni”.

Ma a differenza de “Il grande blackout”, sostenuto nel registro colorato e nell’iconografia infantile tipici di Oliva, “La storia si scrive di notte” opera con l’assenza di luce, con l’oscurità, con la notte come qualità della forma e come spazio vitale: una geografia sociale ulcera, vuota, distopica, dove gli uomini camminano perduti in cerca di segnali, dove vagano in attesa di un domani. In Alonso non c’è umorismo, costumbrismo, idiosincrasia; tutto ciò cede di fronte all’imponente disegno di un universo distopico, di un cosmo onirico, di una Cuba spettrale…

Per ottenere quel paesaggio “del domani”, che è il vero volto del presente ai suoi occhi, Alonso non solo espone il suo lavoro espressionista con l’assenza di luce, con le ombre e l’oscurità – all’inizio del documentario si suggerisce di vederlo senza contaminazione luminosa, per “le condizioni di bassa luminosità” in cui è stato girato. Altre due strategie sono essenziali: come indicato all’inizio, la costruzione del paesaggio sonoro incandescente che accompagna la registrazione visiva e la conversazione all’interno della sua casa tra lui e sua madre, che si alterna ai “ritagli di Pinar del Río, L’Avana, Bahía Honda e la Ciénaga de Zapata”, che tessono il territorio visto nel film, come racconta il cineasta nell’intervista citata.

Il design sonoro de “La storia si scrive di notte” ricrea un dark ambient altrettanto isolante nel tempo e opprimente come le stesse immagini. Il suono, a volte organico, a volte estremamente industriale, inietta una densità avvolgente nella registrazione visiva, mentre scandisce i sensi del discorso. C’è un’immagine molto eloquente all’inizio: un piano generale presenta un cimitero sullo sfondo del quale, quasi perso nella notte, si può vedere la torre di chiusura del monumento a José Martí nella Plaza de la Revolución. In quel momento ha luogo un blackout: e la notte avvolge completamente le tombe di tutti quei morti. Nel frattempo, la torre eretta, un simbolo in fuga, rimane illuminata e irraggiungibile per coloro che vivono al dorso della Storia. Una volta che arriva l’oscurità, una sirena, come un grido di emergenza, invade quel paesaggio di morte e dimenticanza. “La storia si scrive di notte” – dove Alonso lotta con la luce per vedere l’oscurità, l’oscurità della notte e l’oscurità sovrapposta dei blackout – cerca di dirci che è proprio verso quel paesaggio di ombre che dobbiamo dirigere lo sguardo.

Il documentario ha un asse articolatore nella conversazione tra Alejandro e sua madre.

Fotograma de ‘La Historia se escribe de noche’; Alejandro Alonso

Alonso spiega che “il passaggio più complesso [del processo di realizzazione] è stato trovare [come] trasitare dal rito familiare al rito collettivo”. Ora possiamo dire che tra i pregi del documentario non vi è solo l’esibizione di quel momento intimo come proprio “del cambio di ritmo imposto dalle ‘ore morte’ di un blackout”, dove, “liberi da qualsiasi distrazione visiva, le parole acquistano un altro valore e l’atto di raccontare diventa un gesto di resistenza per allontanare l’oscurità”. Vi è anche la trasformazione di quel cosmo personale e soggettivo in un territorio che dà senso al paesaggio sociale. La città punita sembra il paesaggio remoto dei sogni e delle paure della madre, così come la casa dove transitano, sonnambuli, quegli spiriti con paura di inciampare in se stessi.

In un certo momento, mentre due donne cercano segnale per i loro cellulari nel cuore della notte, si sente un breve frammento di una trasmissione radiofonica del racconto “Anochecer” di Isaac Asimov, in cui si dice: “Luce! Luce! Luce…! Un milione di fuochi come un mondo che delira nell’oscurità”. Quell’intervento radiofonico sottile, stranezza che incarna il mondo ucronico intravisto da Alonso, si sovrappone alle parole della madre per attirare l’attenzione sulla fine di un tempo e sulla presenza, nell’oscurità della notte, di una forza capace di trovare l’uscita. Quei fuochi della marcia delle torce, che si riproducono e si scontrano, come in un’illustrazione medievale, sono il sintomo dello scompiglio storico.

La madre commenta: “Tutti stiamo cercando la stessa cosa, trovare la strada per uscire di là”. Da quel fitto bosco di tenebre che La Historia se escribe de noche dissipa come un esploratore alla ricerca di un percorso possibile. José Martí disse: “Due patrie ho io: Cuba e la notte/ O sono una le due?”; molto dopo, Reinaldo Arenas scrisse: “Due patrie ho io: Cuba e la notte,/ immerse entrambe in un unico abisso./ Cuba o la notte (perché sono la stessa cosa)”. In La Historia se escribe de noche, Alonso cifra per Cuba la sorte che entrambi i poeti, dal dolore dell’esilio, immaginarono per l’isola. Alonso – e il documentario non è altro che il paesaggio della sua soggettività – fissa lo sguardo sull’oscurità del suo tempo, come richiesto da Agamben ai grandi artisti, e percepisce lì la luce che si allontana all’infinito.

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