La hija de un ladrón
La figlia di un ladro
REGIA
Belén Funes
SCENEGGIATURA
Belén Funes, Marçal Cebrian
FOTOGRAFIA
Neus Ollé
MONTAGGIO
Bernat Aragonés
PRODUZIONE
BTeam Pictures, Oberón Cinematográfica
CON
Greta Fernández, Eduard Fernández, Àlex Monner
ANNO
2019
NAZIONALITÀ
Spagna
DURATA
102 min.
PREMI
- Premio Goya 2020:
Miglior Opera Prima - San Sebastián Film Festival:
Miglior Attrice (Greta Fernández) - Premis Gaudí 2020:
Miglior Film - Taormina Film Fest 2020:
Menzione Speciale della Giuria
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La hija de un ladrón
La figlia di un ladro
Eclatante esordio alla regia di Belén Funes, “La hija de un ladrón” ruota intorno a Sara, una ragazza-madre appena ventenne costretta a far fronte alla sua precaria situazione contando solo su se stessa: il grande desiderio è ricomporre un nucleo familiare: avere ciò che ha perso, o meglio ciò che le è stato tolto. Ecco il titolo: il ladro, chi le ha negato questa condizione, è il padre, un inetto che ora torna a farsi vivo in cerca di redenzione, ma finisce per costituire l’ennesimo ostacolo nei propositi della figlia.
Rivelazione assoluta ai Premi Goya 2020, Miglior opera Prima, e trionfo per Greta Fernández all’ultimo Festival di San Sebastian, per lei la Concha de Plata come Miglior attrice.
La Nueva Ola //
“Belén Funes cattura il pubblico con il suo approccio epidermico al presente di una giovane madre”
Quello di Belén Funes sarebbe un ottimo caso di studio per analizzare i meccanismi che innescano quel concetto intangibile, ma ben presente ai nostri giorni, chiamato aspettativa. Sponsorizzata sin dal suo primo cortometraggio da Isabel Coixet, applaudita con il secondo nei festival specializzati, già dalla gestazione del suo primo lungometraggio si è cominciato a parlarne con un entusiasmo insolito nel cinema spagnolo: una giovane regista catalana – semi sconosciuta – era nel mirino di media, manifestazioni e cinefili. Il tanto atteso film di questa cineasta intelligente, sensibile e irrequieta non delude le aspettative.
La sua trama – scritta dalla regista con Marçal Cebrián – è semplice e breve: Sara, poco più che ventenne, ha un bambino e condivide una casa con un’altra madre, in un appartamento fornito dai servizi sociali. È alla continua ricerca di un lavoro, si occupa di tutto ciò che le è possibile e cerca di resuscitare il rapporto con il padre di suo figlio. Allo stesso tempo, vuole prendersi cura di suo fratello minore, che ha cominciato ad andare a scuola. Un giorno incontra suo padre e la sua prima reazione è di scappare: perché tra loro non c’è una buona sintonia o, a quanto pare, molto affetto.
In queste circostanze, Belén Funes ha realizzato un film che, tramite dettagli e piccole pennellate, costruisce la realtà di una donna combattente che deve lottare non solo contro la precarietà lavorativa in una Barcellona di periferia, ma anche contro un passato familiare tossico che pesa come una zavorra: la figura di un genitore con un passato oscuro metterà una nuova e grande tensione su Sara, che non desidera avere contatti con un uomo che sembra averla danneggiata.
Funes punta tutto sull’evocazione, sul naturalismo e sul fuori campo. Lo spettatore non scoprirà mai cosa è successo prima, durante l’infanzia della protagonista, né saprà con certezza perché quel padre sia così poco benefico sia per lei che per l’altro figlio. Ma non è facile rompere i legami di sangue, perché – come dice Sara – “Non posso dimenticarlo: me lo porto in faccia”.
La cinepresa in La hija de un ladrón si incolla alla sua protagonista e non si separa da lei neanche nei momenti più quotidiani e intimi, come quando si lava o mangia, facendo sì che lo spettatore accompagni da vicino – e capisca – questa donna che desidera disperatamente mitigare la sua solitudine, recuperare l’amore, evitare di ripetere gli errori dei suoi genitori e di fuggire continuamente, in un mondo che le chiede troppo. E tutto questo riesce a trasmettere Funes, con misura e senza eccessi melodrammatici, da brava ammiratrice dei fratelli Dardenne.
Alfonso Rivera, Cineuropa