Julieta

Julieta

REGIA
Pedro Almodóvar

CON
Emma Suárez, Adriana Ugarte, Daniel Grao.

ANNO
2016

NAZIONALITÀ
Spagna

DURATA
96 min.

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Julieta

Julieta

Julieta ha deciso di lasciare la Spagna per il Portogallo, dove si trasferisce l'uomo che ama. Sgombra la casa e ingombra i cartoni di cose e ricordi, tracce forti di un passato che riemerge implacabile. L'incontro casuale con Beatriz, amica d'infanzia di sua figlia, la convince a restare a Madrid. Quella riunione è un segno, quello che aspetta da tredici anni, il tempo che la separa da Antía. Figliola prodiga partita per sempre, Antía ha fatto perdere ogni traccia di sé a quella madre senza colpa che incolpa. Julieta attende come Penelope appesa a un filo e a un diario che svolge la sua storia. Poi il destino le consegna una lettera.
Qualcosa è cambiato nel cinema di Pedro Almodóvar. Niente pastiche hollywoodiano, nessuna effusione narrativa o profusione di personaggi, intrighi, situazioni, segreti rivelati, Julieta è un film secco, semplice, essenziale. In Julieta non c'è che la vita, nuda e cruda. Con la finzione e la sua messa in scena Almodóvar fa i conti nel prologo e in un primo piano su un tessuto rosso che evoca il drappo di un sipario. Ma l'illusione dura un attimo e quello che sembrava panno pesante si rivela stoffa leggera su un cuore che batte. Il cuore è quello di Julieta che aspetta, aspetta da tutta la vita che sua figlia ritorni come Ulisse, che argomenta giovane insegnante di lettere antiche in un liceo.
Ispirato a tre racconti di Alice Munro, assemblati e condensati insieme, Julieta non è un melodramma ma una tragedia perché il destino gioca un ruolo fondamentale. Dopo la parentesi de Gli amanti passeggeri, l'autore torna al ritratto femminile misurato questa volta con il fato, con un Mediterraneo senza luce, agitato da dei crudeli e capricciosi che inghiottono gli uomini o li spiaggiano in un esilio infinito. Nessun artificio teatrale interviene a sublimare l'afflizione della madre del titolo che Almodóvar sceglie di far interpretare da due attrici, Emma Suárez e Adriana Ugarte, avvicendandole in un raccordo antologico. Un'ellissi temporale agita sotto un asciugamano che friziona i capelli della giovane madre dell'Ugarte e si solleva sul volto invecchiato della Suárez, rinchiudendo per sempre la protagonista in una pelle che non è più quella del desiderio. L'una accesa e luminosa sotto i capelli ossigenati è la perfetta emanazione della movida e del cinema barocco di Almodóvar, in cui lo spettatore ripara innamorandosi come Julieta di un pescatore pescato in treno, l'altra spenta dalla colpa, la perdita e la solitudine vive un esilio bianco sulla terra, un coma che sospende il dolore in attesa che qualcuno parli con lei. Confinata nel suo appartamento e 'giudicata' tre volte nel grado di giovane donna, moglie e madre dall'uomo del treno, dalla donna di servizio e dalla direttrice di un gruppo spirituale, Julieta non si perdona e come un gene trasmette alla figlia la colpa che da tredici anni la tiene lontana dal genitore.
Viaggio interiore che risale il tempo fino all'avvenimento che ha determinato la vita della sua protagonista, Julieta è un film sulla colpa, forza motrice del film e malattia morale che impedisce all'eroina di approfittare dei regali della vita (Lorenzo). Julieta non ha commesso nessuno 'delitto' e non ha niente da scontare eppure non può fare a meno di sentirsi responsabile per il suicidio di uno sconosciuto che aveva rifiutato di ascoltare in treno. Il treno su cui nasce il grande amore carnale e consolatorio per il compagno e il padre di sua figlia. Sentimento sconfitto anche lui dalla certezza di una nuova, e questa volta inconsolabile, colpa. Fare l'amore per scongiurare la morte, da Matador l'autore non smette di coniugare questo principio a cui aggiunge l'impossibilità di fuggire il destino. Tra flashback, accelerazioni ed ellissi che imbrigliano, appassiscono e consumano i personaggi, Julieta appunta la cifra di Hitchcock sul personaggio di Rossy de Palma, domestica della 'prima moglie' che piomba sul dramma l'ombra del noir e introduce a un mare incantatore e annunciatore di naufragio. Armonizzando la partitura di Alberto Iglesias con le note drammatiche del silenzio, Almodóvar afferra la grazia della gravità tra il nero del fondo e il bagliore della forma.

La Nueva Ola //

La preparazione del trasloco riporta la 50enne Julieta al passato: decide così di non partire più con il suo compagno e scrive invece una lettera alla figlia che non vede da 13 anni per raccontarle la storia del suo amore per Xoan e della sua scomparsa. In concorso al 69° Festival di Cannes, è un carrozzone di personaggi in coma, incidenti letali, abbandoni, egoismi, mali incurabili, solitudine, ripicche. Il filo che li lega è un devastante senso di colpa che punisce per ogni peccato e annienta per ogni piccola gioia. Almodóvar scrive una sceneggiatura ispirata a 3 storie di Alice Munro – Fatalità , Fra poco e Silenzio – e dirige i personaggi quasi prendendone le distanze, in una storia greve, una tragedia della realtà, con una recitazione volutamente secca, asciutta, quasi monocorde. La singhiozzante musica di Alberto Iglesias non basta a zuccherare un film intriso di solitudine, dolore, depressione.

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