Emak Bakia Baita
La casa Emak Bakia
REGIA
Oskar Alegría
CON
Oskar Alegria
ANNO
2012
NAZIONALITÀ
Spagna
DURATA
83 min.
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Emak Bakia Baita
La casa Emak Bakia
Nel 1926 Man Ray gira il suo cinépoém (come specifica il sottotitolo) vicino Biarritz, cittadina di mare sulla costa basca a sud ovest della Francia. Chiama il suo film Emak-Bakia. L’espressione basca significa “lasciatemi solo” e come viene accuratamente spiegato in The search for Emak Bakia, il bel film di Oskar Alegria realizzato nel 2012, l’inflessione non è affatto affranta o arrendevole, ma imperativa e risoluta. Inoltre le due parole Emak Bakia una volta espresse rivelano una sacrosanta idea di libertà, che nel caso di Ray diventa libertà dell’arte, del creare. Scopriamo infatti che il film Emak-Bakia fu finanziato da un ricco americano, Arthur Wheeler, con la somma di 10.000$. La condizione posta da Ray era una sola: e cioè che non ci fossero pretese sul suo film. Insomma di essere lasciato solo. Niente limiti alla sperimentazione né costrizioni in una qualsivoglia struttura o narrazione e anche, all’occorrenza, di abbandonarsi al caso e all’accidente
La Nueva Ola //
Remover Roma con Santiago
Caso e accidente. Elementi imprescindibili anche per il regista spagnolo Oskar Alegria, che in Zumiriki (presentato all’ultima edizione della Mostra veneziana) si reca nei luoghi della sua infanzia dove un tempo sorgeva un isolotto, oggi sommerso. Alegria ricerca le tracce perse nel tempo, lasciando se stesso e il suo cinema nelle mani del caso. Così anche in The search for Emak Bakia torna la ricerca, qui palesata nel titolo. Il film di Alegria inizia con un mistero. Perché Man Ray ha scelto proprio questa espressione per intitolare il suo film? Dove è andato a pescarla? Alegria indaga con un’esaltante curiosità bambina; come in Zumiriki abbandona costantemente la strada maestra e si perde a giocare, rivelando che proprio il caso e l’accidente conducono alla vera scoperta. Così segue le tracce e nel cercarle si perde così volentieri da renderci ebbri in questo esser persi. Ma davvero possiamo salvare le tracce dal tempo e dalla morte? La risposta sembra essere affermativa. Il tempo che impieghiamo nel ricercare tracce perse o nel richiamare momenti già esauriti, è sì uno spreco di tempo, ma per Alegria è dolcissimo e ricchissimo, così ricco da rendere la perdita del passato inesistente e fruttuosa, o meglio, se vogliamo confonderci ancora di più, da rendere le assenze presenze, perseguendo una delle principali peculiarità del Cinema e dell’arte tutta: svelare le assenze. Caso e accidente, improvvisi come la morte, una volta ripresi perdono provvisorietà e invisibilità.
Mentre segue una delle prime piste aperte, una diceria che vuole l’espressione Emak Bakia scoperta da Ray su una tomba a Montparnasse, Alegria si imbatte nella lapide di un clown. Un clown muore davvero? Nella sua missione di ridere di fronte all’imprevisto e al dolore, non sconfigge forse la morte stessa? Passo dopo passo Alegria costruisce mondi e si perde continuamente, conducendoci in molteplici vie aperte dalle immagini di Man Ray, non solo di Emak-Bakia ma anche di Les mistères du château de Dè, di L’étoile de mer e Dix films court. Gli elementi scoperti alla ricerca della potentissima espressione basca, sono moltissimi: c’è una cartolina con un misterioso ammonimento, una splendida villa che ha cambiato identità, una principessa rumena, la tomba di un clown ancora in vita… Alla fine di The Search for Emak Bakia abbiamo dimenticato lo scopo iniziale, e forse è proprio questo è il punto, dimenticare lo scopo che sempre presuppone un’utilità e che quindi ci fa orrore. Perdere tempo, perderlo il tempo, lasciare andare la presa e godere nel farlo. Una cosa ci sembra certa alla fine di tutto. E cioè che la morte, in fondo, non esiste.
Man Ray pretende di essere lasciato solo, libero nel girare il suo Emak-Bakia. Vuole perdersi nel movimento farfallino delle ciglia di una donna che dorme o ribaltare ogni regola rendendo il mare cielo e il cielo mare. È un diritto sacrosanto. Così anche Alegria nel girare la sua ricerca di Emak Bakia si prende la libertà di smarrirsi seguendo il caso, di ricercare tracce perdute nel tempo, perdendo tempo e prendendosi gioco di esso.
(Sentieri selvaggi)